Essere invitata a parlare al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite non è solo partecipare a un evento internazionale. È entrare in un luogo dove le parole – anche quelle difficili, scomode, urgenti, assumono un peso diverso. Ho avuto l’onore di essere lì, come rappresentante della Consulta Femminile Interassociativa di Milano e dell’AIDIA, per portare il punto di vista di chi progetta lo spazio, la sostenibilità, le città, con lo sguardo tecnico e femminile che mi appartiene.
È stato intenso. Non solo per la quantità di incontri, di lingue, di culture. Ma per la qualità del confronto. L’energia che si respirava era reale: centinaia di donne da tutto il mondo, ciascuna con il proprio pezzo di esperienza, ognuna con una battaglia ancora aperta. Dalla violenza strutturale che si subisce in alcuni Paesi, alla fatica quotidiana del farsi ascoltare anche dove i diritti sembrano acquisiti.
Nel mio intervento ho parlato di sostenibilità, certo, ma non solo in termini ambientali. Ho parlato di città che devono cambiare prospettiva, accogliere davvero i bisogni di chi le vive – donne comprese – e di quanto sia urgente abbattere non solo il soffitto di cristallo, ma anche quelle fondamenta di cristallo invisibili e profondamente radicate, che ancora impediscono a troppe donne di sentirsi legittimate a occuparsi di scienza, spazio, energia, trasformazione.
Ho incontrato delegate dall’Iran, dal Burkina Faso, dagli Stati Uniti, e da tantissimi altri Paesi: con molte si è creato subito un linguaggio comune, fatto di parole ma anche tanti sguardi eloquenti e condivisi. Quello è un posto dove anche i silenzi parlano, e spesso urlano. In ognuna ho riconosciuto una tensione comune: quella di chi sa che il proprio lavoro non è mai solo tecnico, ma anche politico, culturale, sociale.
New York era piena di sole, stranamente limpida. Camminare tra i suoi grattacieli dopo le sessioni alle Nazioni Unite era quasi straniante. Eppure utile: la distanza aiuta a mettere a fuoco. Ho riportato a casa molti spunti e una consapevolezza chiara. Il pensiero delle donne, quando è libero e competente, porta soluzioni concrete, visioni diverse, e un senso di realtà molto forte. È ora che questo pensiero abbia più spazio, anche nei luoghi del potere, anche nei progetti più grandi.
Ma al tempo stesso dobbiamo ricordare in tutti i contesti possibili, e a più voci, che in tanti luoghi (che non sono angoli ma Paesi interi) del mondo, le donne sono ancora trattate come esseri viventi nemmeno tanto facenti parte del genere umano: sono attrezzi da riproduzione e da allevamento, prive di diritti e di voce. Non è retorica: a New York questo era chiaro ovunque, e trasudava da ogni conversazione intrapresa.
Il ruolo di noi donne occidentali è fondamentale per far evolvere la cultura del mondo e portare metodo, innovazione, e competenza sui tavoli più elevati. Al tempo stesso abbiamo la responsabilità enorme di farci portavoce e dare supporto a quelle realtà sociali del mondo (tante) che sono ancora anacronisticamente incagliate in un Medioevo estremamente buio.
Non basta esserci. Bisogna contare. Bisogna contare adesso. E bisogna continuamente parlare, mediare, convincere, e non abbassare mai la guardia sull’obiettivo di farsi ascoltare davvero.