C’è un’idea diffusa, e pericolosamente limitante, secondo cui la sostenibilità sia un argomento da terraferma. Come se l’architettura responsabile potesse esistere solo tra giardini e colline, e non anche tra le onde.
E invece proprio il mare – e in particolare il mondo dei superyacht – rappresenta oggi uno dei terreni più sensibili e urgenti per una trasformazione culturale profonda. Ne ho parlato al Blue Design Summit 2025 di La Spezia, un evento internazionale straordinariamente focalizzato sul futuro del design nautico, dove sono stata invitata a portare il punto di vista della bioarchitettura applicata al mondo dell’interior navale.
Perché sì: anche uno yacht, per quanto tecnologico e performante, resta un luogo da abitare. E quindi un organismo che entra in dialogo diretto con il corpo umano, con i sensi, con i ritmi interni di chi lo vive.
Cos’è la bioarchitettura a bordo?
È la scienza e l’arte di progettare ambienti che rispettano l’equilibrio tra l’essere umano e il suo ecosistema. Anche quando quel sistema è instabile, umido, salino e limitato come può essere uno scafo galleggiante. Un luogo dove si vive spesso in ambienti semi-ermetici, con un livello di isolamento che, secondo l’OMS, può generare inquinamento indoor fino a cinque volte superiore a quello esterno.
I problemi? Sono noti, ma spesso sottovalutati: materiali sintetici, colle, vernici, tessuti tecnici che rilasciano VOC; ventilazione inadeguata; illuminazione artificiale disallineata dal ritmo circadiano; rumore meccanico e riverberi acustici costanti.
Le soluzioni? Esistono, e funzionano. Ma vanno progettate con competenza e coscienza.
Come si fa?
Si parte dai materiali: legni certificati, colle naturali, vernici minerali, tessuti organici. Ma si arriva molto più in profondità: alla gestione della luce e dell’ombra, al disegno delle correnti d’aria, al trattamento del suono e della temperatura. Una cabina ben progettata può diventare un microcosmo armonico: silenzioso, respirante, orientato al benessere.
Il nostro approccio come bioarchitetti è lo stesso, a terra come in mare: ascoltare il corpo, progettare per la mente, rispettare l’ambiente. Ma nel mondo della nautica, ogni scelta diventa ancora più significativa. Perché lì dentro tutto è concentrato, amplificato, intensificato.
Sostenere che un superyacht possa diventare un luogo sostenibile può sembrare un paradosso. Ma è esattamente qui che si gioca la vera sfida. Perché l’evoluzione non sta nel negare il desiderio di bellezza e comfort, ma nel riformularlo con altri strumenti, altre priorità, altri valori.
Il nuovo lusso non è l’ostentazione, ma il rispetto: della salute, del tempo, della natura, di chi viaggia con noi. Un interno pensato per il benessere non è solo più bello. È più giusto. E ci fa sentire, finalmente, a casa. Anche sull’acqua.
E sì, lo confesso: durante il party serale del Summit, ho anche assaggiato il Cappon Magro più buono della mia vita. Segno che quando la cura è vera, si sente in ogni dettaglio. Anche in cucina.
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