Ci sono case che ti guariscono, e case che ti consumano. E non lo dico per metafora.
La maggior parte delle persone pensa alla casa come a un contenitore: un involucro, una protezione, magari anche una vetrina di stile. Ma la verità è che la casa è un amplificatore costante di tutto ciò che ci succede, nel corpo e nella mente.
Se l’aria è sbagliata, il nostro respiro cambia. Se la luce è povera o mal distribuita, anche il nostro umore si appanna. Se i materiali emettono composti invisibili, la nostra pelle, i nostri polmoni, il nostro sistema nervoso se ne accorgono.
La casa non è uno sfondo. È una macchina biologica potentissima, capace di accompagnarci verso uno stato di salute o, al contrario, di generare disagi lenti, silenziosi, persistenti.
Negli anni, l’ho visto in decine, centinaia di casi. Persone stanche da mesi senza una causa precisa. Bambini sempre raffreddati. Umore a terra senza spiegazione. E poi si scopre che è una parete che non traspira. Una vernice tossica. Una stanza esposta male. Una fonte di inquinamento elettromagnetico proprio dietro il letto.
Non si tratta di farsi prendere dal panico. Si tratta di imparare a leggere gli ambienti per quello che sono veramente: sistemi complessi, vivi, che dialogano in continuazione con il nostro corpo.
E non servono grandi rivoluzioni. A volte basta orientare diversamente un letto. Sostituire un materiale. Cambiare una fonte luminosa. Ma per farlo, serve conoscenza. Serve attenzione. Serve sapere cosa cercare.
È proprio per questo che il nostro lavoro non può mai ridursi a una questione estetica. La bellezza, quella vera, è sempre il risultato di una funzione ben pensata, una salute ben coltivata, un equilibrio sottile tra corpo, materia, luce e tempo.
Per questo continuo a ripetere, in ogni corso, in ogni progetto, in ogni conferenza: la casa non va semplicemente costruita. Va curata. Va progettata come se fosse un’estensione intelligente e sensibile di noi stessi.
Perché lo è. E perché da lì parte tutto.