Carissimi,

anche quest’anno, ho passato cinque giorni di fuoco a Milano, in giro per Salone del Mobile e Fuorisalone, ma stavolta ho cominciato a maturare un sentimento fortemente critico. Sta cambiando qualcosa. Tra luci e ombre, ha saputo comunque offrire spunti interessanti e suggestioni da cui lasciarsi ispirare. Lo ammetto: è sempre un’esperienza straordinaria.

Il Salone del Mobile (quello a Rho Fiera) mantiene sempre il suo ruolo di sterminata vetrina delle aziende, anche se sempre meno delle piccole aziende e sempre di più delle aziende enormi, che usano il Salone per esplodere in esibizioni muscolari al di là (di molto) della più elementare sostenibilità economica. Ho visto stand singoli di migliaia mq, dal costo di parecchi milioni di euro, ma soprattutto dal dubbio rapporto costo/eleganza, con file sterminate di visitatori in attesa per accedervi. Stiamo probabilmente tornando ad un  periodo di crisi estetica e culturale dove l’eccesso in tutti i sensi vuole e deve trionfare? La sensazione netta che ho provato girando per gli stand è stato trovarmi come in uno sterminato mercato rionale in cui tutti, ma dico tutti, cercavano di urlare più forte degli altri, promuovendo vigorosamente il loro prodotto a spintoni. Lo stile, nella sua accezione più pura, non è la prima cosa che mi è restata in mente uscendo da lì.

Il Fuorisalone? Straordinario, interessante ma anch’esso imbarcato in una deriva in cui la parola design è stata usata da pretesto da chiunque per attirare visitatori. Ci sono stati eventi irrinunciabili, come Dropcity, il progetto sotto i tunnel ferroviari della Stazione Centrale, che ha riunito studi emergenti e collettivi internazionali, riportando il focus su una progettazione più autentica, o altri semplicemente stilosi (rarissimi) come quello di Aesop, che ha costruito nel chiostro e nella sagrestia della Chiesa del Carmine, un percorso meditativo sulla materia e il tempo, con una poetica rara da trovare altrove. Ho potuto visitare il Laboratorio Paravicini, una bottega rinascimentale che fa piatti per la tavola, spettacolari e dipinti a mano: mi ha incantata con la sua eleganza leggera, mostrando come anche l’artigianato più autentico possa dialogare con il contemporaneo senza perdere un grammo di poesia, e mantenendo un’aura un po’ segreta e silenziosa, che io personalmente cerco in ogni oggetto che propongo per la casa. Un cenno devo farlo assolutamente anche per Grasssoul: una vetreria cecoslovacca, geniale, che propone urne cinerarie spettacolari in vetro, per convivere in casa con il caro estinto. Più belle di quelle finora non ne avevo ancora viste.

Ma in sintesi, c’è un “ma”: ogni anno che passa, il Salone del Mobile e il Fuorisalone sembrano perdere un po’ della loro identità originaria. Ormai la Milano Design Week è diventata una grande festa internazionale del lusso, che sembra più una maratona bulimica e una gara a chi riesce a visitare più location o raccogliere più inviti privati possibile (a cui non riuscirà umanamente ad andare, o a godersi per più di un minuto). Brand della moda e aziende lontane dal design puro invadono il calendario con eventi spettacolari ma spesso fuori contesto, rubando tempo e attenzione a chi sarebbe lì per scoprire le vere novità del settore. Le file interminabili, il rumore di fondo, l’ansia da prestazione hanno reso difficile godersi davvero la bellezza dei progetti più silenziosi, più pensati, o con una base valoriale autentica. Non a caso, qualcuno ricomincia a guardare con crescente interesse a format come la Design Week di Parigi, più compatta, più curata, meno dispersiva, più godibile e soprattutto molto più lunga (10 giorni contro i 5 di Milano), che rende onore con evidenza plastica ad una regia colta, selettiva e organizzata dell’intero evento cittadino, che a mio parere a Milano non c’è (o se c’è, non si percepisce).

Nonostante tutto, la magia di Milano resta. E se impariamo a selezionare, a rallentare, a scegliere con attenzione, sa ancora regalarci scoperte autentiche.

Se posso darti un consiglio, per la prossima volta: scegli pochi eventi, quelli che ti parlano davvero. Fermati, ascolta, guarda. Non rincorrere l’ansia di vedere tutto. Il vero design non si trova correndo da una location all’altra, ma rallentando abbastanza da sentirne la voce e il profumo.