Editoriale di Isabella Goldmann
Voglio parlarvi di un fenomeno che trovo bellissimo e inaspettato, e che sta accadendo negli ultimi anni nel mondo: la diffusione della Festa del Ringraziamento a fine Novembre.
C’è qualcosa di bizzarro e affascinante nel vedere una tradizione americana mettere radici in terre che non hanno conosciuto i Padri Pellegrini. Il Thanksgiving, che gli Stati Uniti celebrano ogni quarto giovedì di novembre, sta diventando usanza anche in Italia ed Europa, e non solo. Non come copia fedele, ma come pretesto per fermarsi e dire grazie per ciò che abbiamo.
La storia originale è nota: nel 1621 i primi coloni sopravvissuti alla Mayflower celebrarono il raccolto con i nativi americani. Nel 1863 Lincoln rese il Thanksgiving festa nazionale. Da allora 49 milioni di americani viaggiano per tornare a casa, le strade si riempiono di parate, il tacchino ripieno diventa protagonista di tavole dove ogni famiglia custodisce la propria ricetta segreta.
In Italia il Thanksgiving si è fatto strada attraverso film e serie tv, poi concretamente tramite ristoranti che hanno iniziato a proporre menu speciali. A Roma, Milano e altre città è facile trovare proposte di tacchino con gravy, purè, patate dolci, torta di zucca. Non è solo curiosità gastronomica: l’idea di una festa dedicata a “ringraziare” ha senso e forse per questo piace molto.
La versione fuori dagli Stati Uniti ha perso la sua connotazione storica e religiosa per trasformarsi in una celebrazione universale della riconoscenza. Non si ringrazia Dio per il raccolto, non si commemora la sopravvivenza dei coloni, ma si crea spazio per riconoscere le cose positive dell’anno. Amici, famiglia, salute, progetti riusciti, momenti difficili superati. Una festa della gratitudine generica, laica.
Il formato rimane simile: riunirsi a casa (in realtà non si dovrebbe mai farla al ristorante), cucinare insieme, mangiare abbondantemente con cibi stagionali. Non serve il tacchino, bastano piatti autunnali: zucca, castagne, funghi, verdure, arrosti. Alcuni lo chiamano “Friendsgiving” (che mi piace moltissimo!), versione informale dove ognuno porta una pietanza. Altri mantengono la struttura tradizionale. Il denominatore comune è creare l’occasione per dire cose che normalmente non si dicono: “Grazie per esserci stati”. “Sono grato per questo”. Frasi che attorno a un tavolo imbandito acquistano peso diverso.
È una festa bizzarra per chi non è americano. Non ha radici storiche nostre, importa rituali che non la piattaforma è terminata e siamo ci appartengono, ma funziona bene perché arriva priva di sovrastrutture obbligatorie, libera da tradizioni che generano tensioni. Non ci sono regali da comprare, liturgie religiose, codici sociali rigidi. È solo la voglia di incontrarsi, mangiare, ringraziare, un rituale importato che diventa un bellissimo pretesto per fare ciò che dovremmo forse fare tutti più spesso.
Noi di Raremood per esempio, abbiamo moltissimo già da ringraziare: grazie a voi lettori e amici della community per tutti i messaggi che ci state mandando per l’impazienza di vederci online (manca davvero pochissimo, la piattaforma è terminata e siamo già in fase di test) e grazie a tutti i meravigliosi artisti, artigiani e imprenditori che stanno credendo tantissimo in questo progetto. E poi lasciatemi dire un grazie al mio team, che sta lavorando benissimo, in grande armonia e anche divertimento. Va detto!
Nel frattempo Buon Natale a tutti e appuntamento nel nuovo anno, per un 2026 sempre assieme.






